martedì 20 marzo 2007

Il poema di Ulisse

L’ODISSEA



AUTORE: Omero. Nome tradizionalmente assegnato al presunto autore dell'Iliade e dell'0dissea, i più grandi poemi epici dell'antichità e le prime rilevanti testimonianze della letteratura greca. Non si sa nulla della vita di Omero (per la tradizione più antica era un aedo cieco nativo di Chio, anche se erano molte le città che ne vantavano i natali), ed è pure dibattuta la questione se si possa attribuire a questo poeta, se mai è davvero esistito, la composizione dei due poemi. I dati linguistici e storici consentono tuttavia di affermare che l'Iliade e l'Odissea maturarono, in una fase collocabile tra il IX e l’VIII secolo a.C., negli ambienti di cultura greca fiorenti sulla costa occidentale dell'Asia Minore.















ODISSEA: da Odisseo, nome greco di Ulisse.

POEMA EPICO: composto da 24 canti, circa 12 000 versi.

TEMPO DELL’AZIONE: gli ultimi 40 giorni circa del viaggio di Ulisse.

DURATA DEL RACCONTO: Ulisse racconta al re Alcinoo ciò che gli è accaduto negli ultimi nove anni.

LUOGO: varie località nel bacino del Mediterraneo.

PERSONAGGI: l’eroe è, in questo poema omerico, Ulisse, re di Itaca; compaiono molti altri personaggi, ma in qualità di antagonisti o aiutanti del protagonista o degli antagonisti. Questo a differenza dell’Iliade, dove gli eroi erano molti.

VICENDA: nel poema si narra il ritorno di Ulisse in patria, dopo la distruzione di Troia.














La guerra dei Greci contro la città di Troia è ormai terminata da nove anni, ma Ulisse non ha ancora fatto ritorno alla sua reggia. Molti lo credono ormai morto e i Proci, giovani nobili, si sono insediati nella sua casa, banchettando e saccheggiando le sue ricchezze in attesa che la moglie Penelope scelga uno di loro come marito e come re. Penelope ha promesso che sceglierà lo sposo quando avrà terminato di tessere una tela, alla quale lavora di giorno per poi disfarla ogni notte.
Telemaco, figlio di Ulisse, decide di recarsi a cercare notizie del padre presso i suoi compagni di guerra Nestore e Menelao.
Ulisse intanto è lontano dalla sua patria, nell’isola di Ogigia, dove la ninfa Calipso, innamorata di lui, lo trattiene da molto tempo.
Per volere degli dèi, l’eroe greco può fare ritorno in patria, ma deve affrontare l’ira di Poseidone, dio del mare, che lo odia perché gli ha accecato il figlio Poliremo.
Poseidone gli scatena contro una terribile tempesta dalla quale Ulisse si salva a stento, approdando all’isola dei Feaci. Accolto dal re Alcinoo, egli narra tutte le avventure che ha affrontato dopo la partenza da Troia.











IL RACCONTO DI ULISSE: Superate alcune terre, dove ha perso molti compagni che hanno mangiato il frutto del loto che ha fatto dimenticare loro lo scopo del viaggio, Ulisse è giunto all’isola dei Ciclopi. La terra è abitata da esseri giganteschi con un solo occhio in mezzo alla fronte che vivono allo stato selvaggio. Spinto dalla sua curiosità di conoscere, l’eroe greco decide di fermarsi.
Preso prigioniero da Polifemo, uno dei Ciclopi, Ulisse con pochi uomini riesce a fuggire dopo aver accecato il terribile gigante. Urlando, Poliferno invoca la vendetta del padre Poseidone, dio del mare.
Dopo numerose avventure Ulisse, spinto ancora dal suo desiderio di conoscere, si ferma nell’isola Eea, dove vive la maga Circe che, trasformati i suoi compagni in porci, trattiene l’eroe greco per quasi un anno.
Una discesa agli inferi permette all’eroe greco di interrogare
l’indovino Tiresia sulla sua sorte, prima di riprendere il mare.
Altre avventure lo attendono: l’incontro con le Sirene, di cui
Ulisse riesce con un trucco ad ascoltare il canto, senza esserne
trascinato in mare, e con i due mostri Scilla e Cariddi.













Sbarcato sull’isola del Sole non riesce a impedire ai compagni di uccidere le giovenche sacre, suscitando l’ira del dio Sole che scatena una tempesta nella quale i compagni di Ulisse, già decimati, muoiono tutti.
Rimasto solo, approda nell’isola di Calipso che, innamorata di lui, lo trattiene a lungo. Per volere degli dèi egli riprende il mare, ma una tempesta lo fa naufragare sull’isola dei Feaci dove si trova nel momento del racconto.
Qui termina il racconto di Ulisse ad Alcinoo che gli offre una
nave per tornare in patria.

















Giunto in patria, Ulisse, con l’aiuto dei pochi amici di un
tempo ancora a lui fedeli, si vendica facendo strage dei Proci, che
aspiravano alla mano di Penelope per poi governare l’isola.
Riconosciuto dalla moglie Penelope, Ulisse riprende il comando dell’isola di Itaca.

LA NARRAZIONE: La narrazione delle vicende è molto dettagliata,
azioni e descrizioni sono ricche di particolari. Inoltre la complessità delle vicende e le funzioni assunte dai personaggi (eroe, antagonista ecc.) ci ricordano il romanzo e la sua struttura.

IL LINGUAGGIO: Le caratteristiche del linguaggio dell’Odissea sono
le stesse messe in evidenza per l’Iliade. Esso è infatti contraddistinto da:

• la ripetizione di espressioni fisse (epiteti) riferite ai personaggi. sia dèi sia uomini (per esempio «Ulisse divino, che molto sopporta, ingegnoso», «Nausicaa dalle braccia splendenti», «Artemide che lancia dardi», «Zeus Sommo, Olimpio»);
• l’uso di patronimici, cioè di appellativi composti dal nome del padre più il suffisso ide (per esempio Laerziade=figlio di Laerte per indicare Ulisse; Atrìdi= figli di Atreo per indicare Agamennone e Menelao);
• la ripetizione di frasi ricorrenti;
• l’uso frequente di similitudini.



ORDINE TEMPORALE DEI FATTI: La narrazione dell’Odissea è piuttosto complessa e lo svolgimento della vicenda non segue l’ordine cronologico.
L’Odissea racconta infatti circa 40 giorni, nel corso dei quali,però, Ulisse narra i 9 anni di peregrinazioni e di avventure che lo hanno portato sull’isola dei Feaci, dal re Alcinoo.











Mappa del percorso di Ulisse nel Mediterraneo







ULISSE






Se l’Iliade fu il poema dei Greci, diverso è stato il destino dell’Odissea.
Mentre nell’Iliade emerge soprattutto una natura corale, collettiva, in cui il popolo acheo appare nel suo insieme con i suoi eroi e i suoi dei protettori, l’Odissea è in un certo senso il poema di un uomo solo.
Ulisse domina incontrastato tutta la narrazione.
Il suo carattere, la sua personalità, appaiono definiti nei versi di Omero molto meglio di quanto non avvenga per qualsiasi personaggio dell’Iliade.
La figura di Ulisse assume tratti e aspetti così umani da uscire in un certo senso dal poema, superandone i limiti e diventando una delle grandi figure della cultura occidentale.
Forte e coraggioso come tutti gli eroi, Ulisse è anche e soprattutto uomo di ingegno.
La sua non è la forza bruta di Achille o di Aiace, è una forza intelligente che sa sfruttare tutte le doti dell’intelletto umano, dalla logica alla semplice astuzia.
Se Achille appare a volte quasi divino, Ulisse è sempre inequivocabilmente uomo, cosciente e libero di esserlo, tanto da rinunciare all’immortalità che gli viene offerta dalla ninfa Calipso, nel desiderio di tornare alla sua terra, presso i suoi cari.
Curioso, desideroso di sapere e di conoscere, Ulisse è un esempio di uomo completo, totale, la cui fortuna è andata ben oltre i limiti della civiltà greca.
Il mito di Ulisse, ripreso dall’epica latina, giunse fino al Medioevo.
Ulisse riappare come figura centrale di altissimo valore poetico e grande umanità nel più grande poema del Medioevo, la DIVINA COMMEDIA in cui il poeta Dante Alighieri incontra l’eroe nel Canto XXVI dell’Inferno.







ULISSE
NELLA
DIVINA COMMEDIA

Dante e Virgilio sono discesi nell’ottavo cerchio, quasi nel fondo dell’imbuto infernale: qui, in una delle bolge in cui il cerchio è diviso, scontano per l’eternità la loro pena i consiglieri di frode, cioè coloro che utilizzarono la loro intelligenza e il loro ingegno per suggerire e mettere in atto inganni maligni a danno degli altri.
I dannati si aggirano avvolti nel fuoco, che illumina la landa desolata.
L’attenzione di Dante è attratta da una fiamma che alla sommità si divide in due lingue, una delle quali è più alta dell’altra: nella prima è racchiusa l’anima di Ulisse, nella seconda quella di Diomede, suo compagno in audaci imprese basate su ingegnose frodi (esempio memorabile l’inganno del cavallo di legno che causò la rovina di Troia ).
Virgilio si rivolge alla fiamma chiedendo a uno dei dannati di narrare come morì
Bisogna ricordare che probabilmente Dante non ebbe modo di leggere l’Odissea: in questo modo si spiega il fatto che la storia narrata da Ulisse, provenendo da un’altra leggenda, contrasta con il racconto omerico.
Nel Medioevo Ulisse aveva fama di ideatore di inganni e per questo motivo Dante lo colloca all’Inferno.
Il poeta è tuttavia ammirato anche per l’inesauribile sete di conoscenza dell’eroe greco. in essa riconosce una caratteristica che distingue l’uomo dai bruti, cioè dagli animali.
L’impresa di Ulisse è, però, un folle volo perché egli ha creduto possibile, con le sue sole forze e senza cercare l’aiuto di Dio, spingersi oltre i confini che la ragione e la volontà divina hanno posto all’uomo.
Se Dante può riuscire là dove Ulisse fallisce, ciò dipende dal fatto che il viaggio del poeta non è sorretto solo dal desiderio di conoscere e dal coraggio, ma è direttamente voluto da Dio, che ne permette il buon esito.


Lo maggior corno della fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: - Quando

mi diparti’da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né ‘l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’ i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e delli vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola dalla qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Marocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,

acciò che l’uom più oltre non si metta:
dalla man destra mi lasciai Sibilla,
dall’altra già m’avea lasciata Setta.

- O frati -, dissi – che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto piccola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza - .

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già del’altro polo
vedea la notte e ‘l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tanto casso
lo lume era di sotto dala luna,
poi che ‘ntrati eravam nell’alto passo,

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parsemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché dela nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno ilprimo canto.

Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque:
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso - .
( Canto XXVI, vv. 85 – 142 )


I MOSTRI DELL’ODISSEA

Ulisse incontra più volte nel suo lungo viaggio esseri mostruosi: i Ciclopi, le Sirene, Scilla e Cariddi...
Nei racconti di viaggio di tutti i tempi, anche più vicini a noi dell’Odissea, si in- contrano esseri mostruosi, dotati spesso di una forza incontrollabile che provoca pericoli e morte al viaggiatore. La loro rozzezza, primitività e crudeltà sottolineano da un lato la distanza fra la civiltà di chi racconta e il nuovo mondo, dall’altro l’eroismo e l’audacia dei protagonisti.
I Ciclopi che non conoscono l’agricoltura, non hanno nessuna organizzazione sociale e politica, sono antropofagi e disprezzano gli dèi.
Ma che cosa può esserci all’origine del gigante con un solo occhio che lancia sassi di dimensioni enormi nel mare? Probabilmente qualche aspetto naturale dei luoghi nei quali si svolge la vicenda.
Polifemo richiama con il suo occhio circolare il cratere vulcanico dell’Etna; le coste di Catania appaiono al visitatore disseminate di immensi sassi lavici e di isolotti scogliosi vicini l’uno all’altro. E viene fatto di chiedersi chi può averli scagliati fin qui?







La forza di un gigantesco mostro, più che la violenza del vulcano.
Siamo in presenza di un mito che nasce da un fenomeno naturale.










Anche per Scilia e Cariddi, che compaiono nell’Odissea come mostri che provocano terribili naufragi, si può fare un’ipotesi analoga.
Secondo la leggenda Scilla è una divinità marina con sei teste, ognuna delle quali con tre file di denti e dodici zampe.
Vive presso lo stretto di Messina, in una grotta della costa calabra, dove si è rifugiata dopo che un incantesimo l’ha trasformata da bellissima ninfa in mostro orribile:lì divora i naviganti.
Al lato opposto dello stretto, sulla costa siciliana, dimora Cariddi che tre volte al giorno inghiotte e rivomita le acque provocando violenti gorghi marini ai quali è impossibile sfuggire.
Anche in questo caso appare chiaro il rapporto fra leggenda e fenomeno naturale: il gioco delle correnti marine, infatti, fa sì che lo stretto di Messina sia spesso molto agitato, pertanto per le navi dell’epoca era davvero un’impresa ardua superarlo.
Le Sirene, infine, esseri mostruosi metà donna e metà animale, secondo la leggenda, vivono probabilmente in un’isola antistante la costa campana e
ammaliano i naviganti con un dolcissimo canto, facendo perdere loro il controllo delle navi: esse rappresentano, probabilmente, il pericolo della bonaccia, cioè dell’assenza di vento che può fermare per molto tempo le navi in mare e costare la vita agli equipaggi…




















GLI DEI DELL’ ODISSEA

ZEUS
re e padre degli dei, figlio di Crono che egli detronizzò.
E’ il dio del cielo, presiede a tutti i fenomeni naturali e risiede nell’etere,sede della luce eterna. Fa splendere l’arcobaleno, la cui personificazione, Iride, è la sua messaggera. E’ il dio più forte ed è capace, secondo Omero, di tener sospesi ad una catena d’oro tutti gli dei. E’ l’unico dio onnipotente, la cui sovranità è limitata soltanto dal Destino o dal Fato (Moira).























ATENA
dea della saggezza, uscì già armata dal cranio di Zeus. Col nome di Pallade venne considerata protettrice della città di Atene. E’ una dea guerriera che ama e protegge le arti.













POSEIDONE
dio del mare, figlio di Crono e di Rea. Zeus, quando assunse il dominio del cielo e della terra, affidò a lui quello del mare e ad Ades quello delle regioni infernali. Veniva rappresentato con il tridente, con il quale suscitava tempeste marine e cataclismi. Era considerato anche il dio della navigazione facile.

















APOLLO
figlio di Zeus e di Leto (Latona). E’ il dio della luce e dell’arte della poesia e della divinazione. E’ un’immagine del sole risplendente (Febo). Con la sua cetra dirige il coro della Muse.












EOLO
figlio di Zeus, dio e padre dei venti. Secondo Omero, regnava nell’isola di Eolia, dove i Venti erano da lui tenuti prigionieri nelle cavità di un EOLO




















ERMES
figlio di Zeus e della ninfa Maia. E’ il messaggero degli dei e presiede alle relazioni pacifiche e ai rapporti sociali tra gli uomini. E’ anche protettore del commercio e dei viaggi sulla terra e sul mare. E’ il dio della parola e del’eloquenza. E’ rappresentato con le ali ai pedi e con in mano il caduceo, un bastone attorno al quale si attorcigliano due serpenti . Gli furono attribuite molte invenzioni fra cui la lira, l’astronomia, la matematica e la scrittura.